Ho la Sclerosi Multipla: potrò diventare mamma?

Ho la Sclerosi Multipla: potrò diventare mamma?

Non sono quello che mi è successo, sono quello che ho scelto di essere (Carl Gustav Jung).

 

Se può succederci di doverci confrontare e convivere con qualcosa che non abbiamo scelto, possiamo scegliere di essere madri.

Cronicità della malattia e aspetti psicologici

Ho la Sclerosi Multipla: potrò diventare mamma?

Voglio soffermarmi sulla relazione tra cronicità della malattia e i relativi vissuti psicologici.

Come sappiamo la Sclerosi Multipla (SM) è una malattia infiammatoria-demielinizzante cronica del sistema nervoso centrale, che colpisce la sostanza bianca con distruzione della guaina mielinica con decorso cronico che comporta nel tempo gradi variabili di disabilità neurologica.

I nuovi casi in Italia sono circa 1.800 ogni anno, manifestandosi prevalentemente tra le donne, con un rapporto 3:1 rispetto agli uomini (Battaglia et al., 2004).

L’età di maggiore insorgenza della SM è 20-30 anni, mentre dopo i 50 anni e prima dei 18 anni quest’evento è piuttosto raro (Corey-Bloom & Davir, 2010). Colpendo di più donne in età fertile è naturale che la diagnosi di SM susciti nella donna tutta una serie di domande tra cui la scelta di avere figli. Pertanto è importante sapere che la SM non compromette la fertilità, non comporta di per sé avere una gravidanza a rischio, non compromette la salute del bambino, né interferisce con la possibilità di allattare (Dobson et al, 1029). Tuttavia, la gravidanza perturba temporaneamente l’andamento di malattia e richiede particolare attenzione dal punto di vista del trattamento. Per questi motivi è fondamentale che le donne che prendono in considerazione una gravidanza si confrontino col proprio neurologo e con uno psicologo per discutere in modo proattivo la pianificazione familiare e la gravidanza ed essere sostenuti. È inoltre importante essere a conoscenza di come la gravidanza impatta sull’andamento della SM e conoscere le possibilità terapeutiche per affrontare al meglio questo momento delicato della vita.

In una prospettiva psicologica, l’adattamento alla Sclerosi Multipla può essere considerato un processo dinamico in quanto ci sono dei cambiamenti legati alla progressione della malattia o a recidive dei sintomi, che richiedono un riadattamento continuo. Fattori come la gravità della malattia, la prognosi, la rapidità in cui la salute si deteriora, oppure se la malattia comporta periodi sintomatici e asintomatici contribuiscono a modellare i compiti adattativi della malattia.

Nel tentativo di identificare le determinanti dell’adattamento alla patologia cronica proverò a partire dalla prospettiva psicodinamica, considerando tre livelli di analisi: il livello identitario, quello relazionale e quello relativo ai meccanismi di difesa.

Nella prospettiva psicodinamica, un primo livello di analisi da considerare è quello identitario. Nel caso della Sclerosi Multipla interviene una ferita narcisistica, che può essere ricondotta ai vissuti rispetto i limiti dell’esercizio diretto delle proprie abilità e quindi della capacità di padroneggiare il funzionamento dell’Io. L’inefficienza fisica, le barriere architettoniche e culturali, sono fattori che rinforzano negativamente il vissuto di frustrazione e di impotenza della persona aggravata dalla convivenza con tale patologia (Idone, 1998).

Accanto alla rilevante ferita narcisistica, si aggiungono una alterazione dell’immagine del Sé e della body image, un vissuto di minaccia all’integrità dell’unità psiche-soma e all’identità, il crollo dell’Ideale dell’Io e dell’autostima.

Inoltre, nel considerare gli aspetti psicologici della persona con SM, si devono tenere in considerazione anche le caratteristiche di personalità e il modo d’essere precedenti alla diagnosi: i valori, il background culturale, tutto ciò che fa parte del bagaglio di costruzione dell’Io, la capacità di affrontare gli eventuali cambiamenti e, ancora, il confronto con le proprie e altrui aspettative (Traversa, 2009).

La percezione di perdita dello stato di salute e del ruolo che prima si assumeva finiscono spesso per aumentare vissuti di tristezza e sfiducia.

Ricevere una diagnosi di SM in giovane età significa dover fare i conti con una condizione dal decorso in parte imprevedibile; significa sviluppare sintomi come la fatica o i disturbi cognitivi o una disabilità, insieme alla necessità di assumere in modo costante le terapie. Questi sono tutti elementi correlati alla SM che possono avere un grosso impatto sul benessere psicologico (Dennison, Moss- Morris & Chalder, 2009).

La SM può, infatti, costringere a modificare l’immagine di sé; la malattia attacca il corpo, che non è più visto come uno strumento attraverso cui raggiungere la propria produttività e come una fonte di gratificazione personale. Determina, anzi, condizioni d’inefficienza, spesso percepite come una condanna che si configura con una sintomatologia depressiva anche in assenza di una disabilità clinicamente significativa (Traversa, 2010).

Rispetto all’area relazionale, il ruolo della famiglia, degli amici e degli operatori sociosanitari è di vitale importanza nell’affrontare al meglio le emozioni che accompagnano i momenti iniziali e le sfide successive (Bonino, 2012). Inoltre, un buon rapporto psicologo – paziente, come abbiamo già detto, fondato sulla fiducia e sul rispetto reciproco, è necessario per istaurare un futuro fruttuoso “rapporto terapeutico”, capace di migliorare la consapevolezza del paziente e l’aderenza alla terapia.

Rispetto ai meccanismi di difesa, si rintracciano in letteratura la negazione e il senso di colpa, quest’ultimo spesso originato in ambito familiare dal non sentirsi più adeguati al proprio ruolo di accudimento e nella cura del futuro figlio e del coniuge.

I meccanismi maggiormente attivati nelle persone con SM sono la negazione e lo spostamento: nel primo caso, ci si comporta e si pensa negando l’evento accaduto, come se la malattia non ci fosse; nel secondo caso, invece, le persone cercano di distogliere la propria attenzione dalla propria condizione fisica per evitare di affrontarla. I meccanismi di difesa sono molto utili per superare le difficoltà e il dolore che può apparire devastante, ma la loro utilità sta nella capacità di evolversi e modificarsi con l’evoluzione delle condizioni quando questi meccanismi rimangono permanenti, si parla in genere di fissazione a una fase evolutiva che impedisce il cambiamento e l’evoluzione del percorso di crescita (Bonino, 2012).

Per le donne con malattie croniche, come la Sclerosi Multipla, la scelta della maternità non è una decisione facile. La maggior parte di queste donne sceglie di non avere figli (Killoram, 1993) e spesso considera la gravidanza come “rischiosa” (Thomas, 1997).

Resta in queste donne l’incertezza di essere o meno in grado di prendersi cura di un bambino a causa delle progressive disabilità fisiche e cognitive (Fragoso, 2010). Molte donne in gravidanza affette da SM si domandano, inoltre, se saranno in grado di affrontare la vita di tutti i giorni dopo il parto e se, nonostante la loro malattia, potranno essere delle buone madri (Borisow et al., 2012).

Nonostante le prove che la Sclerosi Multipla non abbia alcun effetto fisiologico sulla fertilità (Ebers et al,1995), e sui tassi d’aborto spontaneo, mortalità infantile e malformazioni rispetto alla popolazione generale (Leibowitz et al, 1967), sul rischio di complicanze ostetriche e neonatali (Finkelsztejn et al, 2011), la scelta di avere un figlio sembra essere ostacolata comunque da paure e dubbi frequenti per le donne. Le preoccupazioni principali riguardano le possibili ripercussioni che la gravidanza può avere sul decorso della sclerosi multipla e sull’imprevedibilità della patologia (Smeltzer, 2002).

L’esperienza della gravidanza

 Ogni esperienza di maternità è carica di annunciazione, di attesa di un vento nuovo, dell’esperienza della vita che comincia, della vita che sorge dalla vita e non può mai trovare un modello in ciò che già esiste, che non è replica analogica di nulla, di nessuna esistenza che è già nel mondo. La nascita di un figlio non è solo il venire al mondo di qualcuno che attendevamo ma porta con sé la trasformazione del mondo com’era prima, rende possibile un altro mondo rispetto al mondo che già conoscevamo. (M. Recalcati). Tutto ciò ha un forte impatto a livello psicologico in ogni donna, ma più che mai in una donna con SM che vede trasformare il proprio mondo rispetto a prima e questo crea inevitabilmente, ansie e paure.

Una delle prime questioni con cui si confrontano le donne con SM che considerano la scelta di diventare madri è sicuramente la preoccupazione per i rischi di trasmissione genetica della SM per la loro prole (Fragoso, 2010). Questa preoccupazione trova sostegno negli studi epidemiologici e di screening genomico che suggeriscono che la SM è legata a fattori genetici, anche se questa influenza è relativamente esigua e ancora controversa per diversi aspetti (Oksenberg et al., 2001; Schmidt et al 2007).

Molte donne con SM vivono inoltre la paura di un’influenza genetica della gravidanza sul decorso della patologia. A smontare questa preoccupazione c’è una solida dimostrazione scientifica che rivela una sostanziale riduzione di ricadute in gravidanza, specialmente nel terzo trimestre, soprattutto dovuta alle variazioni immunologiche che mirano a proteggere il feto (Confavreux et al.1998; Borisonw, Paul & Dorr, 2014). Il miglioramento del decorso della malattia durante il terzo trimestre di gravidanza non è solo definito da una riduzione del tasso di ricadute, ma può anche essere considerato in termini di qualità della vita: le pazienti hanno riportato un miglioramento della salute generale e della vitalità durante il terzo trimestre rispetto ai primi 3 mesi di gravidanza (Neuteboom e coll, 2012) .

Dunque, nessuno degli studi citati ha evidenziato un effetto nocivo della gravidanza, per cui le donne con SM possono avere la certezza che scegliere di avere figli non aumenterà il rischio di disabilità a lungo termine.

Molte donne con SM temono che la malattia possa avere un impatto negativo sulla gravidanza, la salute del feto o il parto (Borisow, Paul & Dörr, 2014). Vi è un consenso, basato su numerosi studi prospettici, che la gravidanza nell’SM non ha effetti nocivi sulla malattia, né è un rischio per il bambino (Ferrero et al., 2004; Mueller, Zhang & Critchlow, 2002; Watkiss & Ward, 2002).

Alcuni studi hanno affrontato il ruolo di fattori di stress psicologici come causa di problemi ostetrici (Chung et al, 2001; Weisberg e Paquette, 2002), e i loro effetti deleteri sullo sviluppo emotivo e comportamentale del neonato e del bambino (O’Connor et al, 2002; Glover, 1997). Alcune donne incinte con SM possono presentare i sintomi della depressione, quali: passività, mancanza d’interesse o disturbi dell’appetito e del sonno (Ferrero et al., 2003). Malesseri di questo tipo possono essere dovuti a cambiamenti nel sistema nervoso o di tipo ormonale, o ancora essere causati dal timore di non essere in grado di accudire il proprio bambino (Giordano et al., 2013). A tal proposito, in uno studio (Harrison & Stuifbergen, 2002) è emerso che il supporto sociale durante la gravidanza si importante in donne con SM, contribuendo ad alleviare i sintomi depressivi che spesso sono correlati alla preoccupazione per la salute dei nascituri.

Sembra quindi indispensabile che l’instabilità emotiva vissuta dalle donne nel corso della loro esperienza della gravidanza e dopo la nascita dei loro figli sia riconosciuta, compresa e opportunamente indagata dai professionisti che si occupano della cura in casi di maternità (Jomeen & Martin, 2004).

Parto, post partum e allattamento

Rispetto all’esperienza del parto gli studi medici suggeriscono che non è più complicato per le pazienti con SM rispetto alle donne prive della patologia, e la modalità di partorire è decisa strettamente sulla base di criteri ostetrici (Giordano et al., 2013).

Nel periodo post-partum c’è un aumento del tasso di recidiva (Roullet e coll, 1993) durante i primi tre mesi dal parto, ma durante i successivi tre mesi il tasso di ricaduta torna al suo valore iniziale. Tale aumento sembra esser legato ad effetti pro-infiammatori del parto.

La prevenzione delle ricadute post-partum, dunque, soprattutto nei primi mesi dopo il parto, rappresenta una sfida per i neogenitori e sono particolarmente importanti per il rapporto tra madre e figlio, con inevitabili ripercussioni anche sulla capacità della madre di accudire il nascituro.

Durante il periodo post-partum, la stanchezza, che colpisce anche le madri sane, ha un impatto maggiore in donne con SM; a tal proposito, queste ultime sostengono che, per far fronte alla stanchezza, è opportuna una pianificazione lungimirante delle attività domestiche quotidiane, favorendo notevolmente la preservazione delle energie personali (Payne, McPherson, 2010). Pertanto, l’economizzazione delle proprie risorse fisiche assume un ruolo molto importante nella routine quotidiana delle neomamme con SM (Borisow et al., 2012).

Un altro aspetto legato al periodo successivo al parto è l’allattamento. Alcuni studi dimostrano che quest’ultimo può essere incoraggiato giacché non sembra influenzare l’aumento della frequenza o della gravità delle recidive post-partum (Nelson, Franklin & Jones, 1988).

La cura 

Come accennato prima, un problema che le donne con SM vivono nel rapporto coi propri figli è la paura di non essere in grado di assolvere al ruolo di cura ed alle funzioni ad esso connesse.

La SM è una malattia particolarmente impegnativa, con un decorso clinico imprevedibile e variabile, che può causare notevole stress e ansia sia per i pazienti sia per le loro famiglie (Diareme et al., 2006). Quando un genitore soffre di una malattia somatica cronica, tutta la famiglia deve far fronte alle conseguenti procedure mediche, ai ricoveri ospedalieri e a una serie di cambiamenti nel malato: mutamenti nell’aspetto fisico, disabilità funzionali, diminuzione dell’autonomia e dell’indipendenza del genitore ecc.. Diversi studi si sono interessati all’esplorazione dei fattori di stress cui i figli sono esposti precocemente nella propria vita, tra cui affaticamento, depressione e malattie croniche dei genitori che potrebbero portare a cambiamenti nocivi nel funzionamento sociale, emotivo o comportamentale dei bambini (Diareme et al., 2006; Amsler, Grether, Dillier, Baldus et al., 2007).

Focalizzandoci ora sul versante materno del rapporto genitore-bambino, uno degli aspetti più spesso registrati nelle madri è il senso di affaticamento. Su quest’argomento è opportuno citare lo studio condotto da Pakernham e colleghi (2012), all’interno del quale si evidenzia che le madri con SM hanno identificato la fatica come uno dei problemi primari che interferisce con importanti funzioni della genitorialità, come la difficoltà nel portare a termine le attività giornaliere (Pakenham et al., 2012). Sintomi fisici, periodi di ricaduta, affaticamento, problemi di sensibilità o di movimento possono rendere necessario modificare il modo in cui una madre si prende fisicamente cura del figlio, legate alla difficoltà di muoversi con facilità e di avere un contatto fisico con il suo bambino, ma questo non necessariamente mina la capacità di assolvere a funzioni materne: riuscire a comunicare amore valori e fiducia in sé stesso al proprio figlio (Giordano et al., 2013).

La possibilità per le madri con disabilità di essere in grado di accudire in maniera adeguata i loro figli sembra essere infine influenzata positivamente dal supporto percepito dalla donna, grazie al quale ella può riuscire a gestire adeguatamente anche la sua esperienza di gravidanza (Kirshbaum & Olkin 2002; Parish, 2002; Hodnett et al, 2007).

Sclerosi multipla e maternità: oggi puoi!

Ricapitolando le donne con SM possono realizzare il loro desiderio di maternità; la SM non compromette la fertilità; la SM non è una malattia ereditaria dunque non sussiste il rischio di una trasmissione genetica; la gravidanza non modifica il decorso della SM; nel post partum il supporto garantito da una solida rete di affetti, affiancata ad un aiuto esterno (psicologo) sono importanti per affrontare al meglio questa fase complessa; la SM potrà alimentare timori correlati alla genitorialità rendendola più difficile, ma non toglierà nulla di quello che potrà essere trasmesso ai figli come patrimonio di valori, affetti ed esperienze.

Concludo sottolineando ancora una volta che una donna non è ciò che gli succede, ma ciò che sceglie e oggi può scegliere liberamente di essere madre!

Erika Firrincieli

Psychè Studio

 

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